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COSTANTINO 1° IL GRANDE E IL CONCILIO DI NICEA (325)

(Naisso, Illiria 280 ca. – Nicomedia 337 d.C.)

Flavio Valerio Costantino, figlio del tetrarca Costanzo Cloro, augusto in occidente, venne educato alla corte dell’imperatore Diocleziano. Combatté in Britannia a fianco del padre, alla cui morte, sovvertendo la sequenza dinastica da tempo fissata in Flavio Severo, fu acclamato augusto dalle sue truppe. Dopo quattro anni di un’aspra lotta interna che portò alla morte violenta di Flavio Severo e del suocero Massimiano, il potere in occidente fu da lui conteso al cognato Massenzio che sconfisse a Ponte Milvio nel 312. Con l’assenso di Licinio, augusto dell’impero d’oriente, promulgò da Milano (313) un editto che riconosceva piena e legittima libertà di culto ai cristiani pur mantenendo salva la religione pagana. Atto importantissimo fu la restituzione di tutti i beni estromessi alle varie comunità religiose. Questa legalizzazione legittimò diverse ingerenze di Costantino, preoccupato dal fermento e dai dissidi che laceravano la Chiesa all’interno, posta gravemente in subbuglio dalla controversia donatista. La compiacenza per il cristianesimo era ormai chiaramente nota, supportata da sostanziose donazioni pecuniarie, esenzioni da tributi e obblighi per il clero, donazioni di immobili e fondazioni di chiese, trasmissione testamentaria, liberazioni degli schiavi nelle chiese, soppressione della divinazione animale, illiceità della lapidazione per gli ebrei convertiti al cristianesimo. Da buon politico però, non si alienò totalmente le simpatie dei non cristiani, adottando una simbologia ambivalente che non sconfessava il mondo pagano. L’adozione del “dies solis”, il riposo domenicale e il mantenimento sulle insegne del simbolo del sole, legato al culto di Mitra, al quale aveva fatto aggiungere il simbolo della croce, furbescamente per alcuni, per rivelazione divina per altri, coniugava la fedeltà delle truppe a una convivenza sostanzialmente pacifica del popolo. Contrariamente, in oriente, Licinio si proferì apertamente per il culto pagano e ciò affrettò lo scontro, ormai inevitabile, tra i due, finchè, dopo furiose battaglie, Costantino prevalse nell’Ellesponto (324 d.C.).

Ormai unico padrone del campo, riorganizzò l’assetto militare e civile del territorio e si dedicò al risanamento delle ferite causate dalla lotta con Licinio, ricostruendo la città di Bisanzio che ribattezzò Costantinopoli, trasferendovi nel 330 la corte imperiale. Riunificato l’impero il suo sguardo si volse alla chiesa sempre più tormentata da dissidi e contese e minacciata nella sua integrità dalla grande eresia di Ario. Maturò in lui la necessità di convocare da tutto l’impero un concilio di vescovi di cui lui si autodefiniva, rivendicandone l’autorità, il “Vescovo per le cose esteriori”. Quanto da questo concistoro fosse deciso, sarebbe stato vincolante proprio per l’avvallo imperiale. Ai vescovi, provenienti dalle più disparate località, fu concesso l’utilizzo gratuito dei mezzi adibiti alla posta di stato e per dare maggior risalto e prestigio al consesso che lui stesso avrebbe ufficialmente inaugurato, ne fu decisa la convocazione per i festeggiamenti del suo ventennale. Fu così che il 20 maggio dell’anno 325 convennero nella città di Nicea (oggi Iznik, in Turchia), oltre trecento vescovi, principalmente di provenienza orientale, mentre da Roma in rappresentanza del papa Silvestro, non molto convinto della cosa, giunsero solo due semplici sacerdoti, tali Vito e Vincenzo. Fitto era l’ordine del giorno e molteplici le conclusioni stabilite:

Lunga fu la disputa sui termini da usare per descrivere il rapporto tra Padre e Figlio, passando da un “homoiousios” (di sostanza o natura simile), non da tutti gradito, ad un “homoousios” (della stessa sostanza o natura) che alla fine prevalse, ribadita successivamente nel “credo niceno” del 381 d.C. al sinodo di Costantinopoli. Gli ariani, pur condannati nel concilio in cui Ario stesso, messo alle corde dal termine “homoousios” (della stessa sostanza - del Padre -) applicato al Figlio, aveva aderito sottomettendosi (così si pensava) al dogma ortodosso, ripresero ben presto vigore al punto da insidiare la casa stessa di Costantino. Eusebio ci presenta un Costantino umile sì, ma fermo e ispirato principe difensore del cristianesimo. La storia però, ci ricorda anche i forti vincoli con la tradizione politeistica che gli accreditava il pubblico ufficio di “Pontifex maximus” (pontefice massimo) a garanzia e protezione della religione civile pluralistica dell’impero. Infatti, nelle reali intenzioni di Costantino, non c’era la censura e l’espulsione di Ario, quanto la preoccupazione di una mediazione tesa a salvaguardare l’unità politico religiosa dello stato. L’approvazione quasi unanime (a eccezione del vescovo Teona di Marmarica e del rappresentante del vescovo Secondo di Tolemaide) pose fine il 25 luglio 325 d.C. al concilio difendendo e riconfermando l’ “antico articolo di fede” secondo cui “Cristo è vero e autentico Dio”, secondo l’insegnamento di Gio. 14 v. 26: “… ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” e di Mat. 28 v. 20: “… Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente!”.

Così viene scritto nella storia tripartita 3,6; MPL 69,950 (D): “… Ario …occultò con parole semplici l’altra interpretazione, convalidandola anche con citazioni bibliche, e prestò anche giuramento che egli credeva in questo modo …” (cfr Storia ecclesiastica 1,11 (10-12) MPL 21,438 B). Soddisfatto, Costantino lo reintegrò, ma da intrigante qual’era, con l’ausilio dei vescovi di consorteria seppe riguadagnarsi la benevolenza dell’imperatore.

Nell’ottica della salvaguardia dell’unità della chiesa, ma non certo per scelte teologiche, Costantino promulgò numerose leggi in favore del clero, concedendo immunità fiscali, giurisdizione civile e penale ai vescovi, affidando alla chiesa stessa l’accertamento e la sovvenzione degli indigenti. Rese più umane le condizioni degli schiavi e intervenne sulla regolamentazione del matrimonio. Intuizione particolarmente felice fu quella di sostituire il concetto dell’ “imperatore divinizzato” con la figura dell’“imperatore per volontà di dio”. Persona equilibrata assunse talora atteggiamenti arroganti e criminali, giungendo, non si sa perché, a ordinare nel 326 d.C., l’assassinio della moglie Fausta e del figlio Crispo. Morì di malattia a Nicomedia nel 337 mentre si stava preparando per combattere i persiani.

 

Vi era noto che …

* A causa della discrepanza tra il calendario giuliano (adottato nel 46 a.c.) e l’anno solare, l’equinozio di primavera (e quindi la Pasqua) si spostava in avanti di un giorno ogni 129 anni ca., finché Gregorio XIII° nel 1582 soppresse i giorni dal 5 al 14 del mese di ottobre, introducendo l’anno bisestile per parificare il calendario cristiano con quello solare. La Chiesa greca rifiutò tale correzione dando origine all’attuale divario tra la Pasqua cattolica e la Pasqua ortodossa. (AE. P. 61 noa 166 WA 50 554 nota B scende nei dettagli), (cfr. Historia tripartita libro 9 cap. 38, Pulcherrime).

* Particolare curioso: Giunti a Nicea per il concilio, molti vescovi che recavano ancora ben visibili le sofferenze patite nelle persecuzioni, vedendosi accolti dalla guardia imperiale con tutti gli onori, trovandosi nel fasto di un banchetto sontuoso, stentavano a credere e, frastornati, si chiedevano se mai fosse già giunto il regno di Cristo.

* Presentare un elenco scritto di rimostranze riguardanti presunti primati di privilegio, di gestione o di semplice aspirazione a sedi migliori, nonché altre rivendicazioni e beghe personali o di comunità, fu uno degli iniziali atti di molti partecipanti al concilio di Nicea. Costantino, disgustato, li bruciò senza neppur leggerli. Commentando tale fatto, Lutero li liquidò considerandoli come “… puri e semplici battibecchi di preti …” e che “… per dirimere queste faccende non era necessario lo Spirito Santo che deve glorificare Cristo e non occuparsi di affari del genere … ”.

* Al concilio di Nicea presenziarono 318 vescovi, di cui 17 ariani di grande autorità. Solo 6 accettarono e sopportarono d’essere cacciati. Parlando di loro tutti, per esprimere la loro arte nel camuffarsi, Lutero li classificò: “… come sterco di topo in mezzo al pepe …” ( WA 50,550,2-3); (cfr. Thiele 371; WA n: 671).

* Stando a quanto Eusebio narra nella sua “Storia ecclesiastica”, Costantino dopo aver ricevuto il sacramento del battesimo dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia, in punto di morte aderì a tale confessione. (cfr Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino 4,61 MPG 20,1211) o anche Storia tripartita 3,12 MPL 69,956-958) e come disposizione testamentaria avrebbe suggerito al figlio Costanzo, adepto di Ario, uno stimato religioso ariano calorosamente consigliatogli dalla sorella Costanza Flavia Giulia, permettendo, proprio tramite costui, la ricostituzione del potere eretico (Storia ecclesiastica 1,11 (10,12) (MPL 21,483); Storia tripartita 4,5 (NPL 69,958).

 
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