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AGOSTINO

(Tagaste 354 – Ippona 430 d.C.)

Punta di diamante di questa espressione, possiamo a ragione considerare Aurelio Agostino. Nato a Tagaste nella Numidia romana nel 354, nonostante una gioventù turbolenta, terminò i suoi studi a Cartagine all’ombra del classicismo latino, proprio dei ceti colti romani. Insegnò retorica a Tagaste prima e nella stessa Cartagine poi, per nove anni.

Spirito libero ed irrequieto sentiva il richiamo della grande metropoli. Passando per Roma giunse a Milano ove insegnò nella locale cattedra di retorica. Fu proprio qui, nel 384, che realizzò un mutamento radicale nelle sue convinzioni. Abbandonati i principi manichei che contrapponevano l’affrancamento dell’anima (luce) dalla materialità della creazione generata dalle tenebre, si convertì al cristianesimo, professando il battesimo nel sabato santo della Pasqua del 387. Suo mentore e guida fu Ambrogio, vescovo di Milano, che lo iniziò a una profonda esegesi simbolica delle sacre scritture. Ciò non gli impedì un approfondimento della ricerca neoplatonica attratto dagli scritti di Plotino e Porfirio sul dualismo di anima e corpo.

Carpito profondamente dal cristianesimo abbandonò la casa, il figlio Adeodato e l’insegnamento calandosi interamente negli studi filosofici e nella stesura dei suoi componimenti. Spirito vulcanico, produsse in pochi mesi importanti opere sulla conoscenza, sulla morale e sulla teologia (Contra academicos; De beata vita; De ordine) oppugnando con l’efficacia della ragione le pressioni dello scetticismo presenti nella concezione accademica. Per lui, fede e ragione sono necessarie all’uomo in quanto concorrono e si identificano nel raggiungimento della felicità. Esplicativo è un suo detto: “Credo per intendere, intendo per credere!”. Egli pone la ricerca della verità all’interno dell’uomo stesso, non perché ne sia l’artefice, ma perché l’anima possa conoscerla e comprenderla tramite la rivelazione di Dio, il “logos” per assoluto. Ciò lo porterà ad affermare che: “La creazione non può derivare dalla stessa sostanza di Dio, perché ciò significherebbe che una parte di Dio (la creazione), va soggetta alle mutazioni insite nella natura delle cose. Essendo perfetto, Dio non può mutare, perciò quanto da lui creato non deriva da materia preesistente”. In sintesi una spiegazione razionale del concetto cristiano sulla creazione dal nulla.

Dopo una parentesi sulle arti liberali (De grammatica, purtroppo andata persa, e De musica), si immerse ancor più nella disamina sulla natura e sul destino dell’uomo (De immortalitate animae). Dopo un approfondimento sull’origine dell’anima e la sua integrazione al corpo (De quantitate animae), giunse a formulare una importante base per i suoi lavori (De libero arbitrio). In esso conclude che l’operare il bene esige una partecipazione attiva da parte dell’uomo e richiede sì l’illuminazione della ragione per giungere alla verità, ma necessita primariamente della grazia di Dio affinché la mente possa operare il bene. Era profonda convinzione di Agostino che : “Dio conosce perfettamente le scelte che noi opereremo ma ci dà piena facoltà di applicare la nostra libera volontà”.

Rientrato nella sua terra d’origine, l’Africa, nel 388, dedicò i successivi tre anni alla formulazione dei coinvolgimenti educativi (De magistro) nell’ammaestramento della verità. Nel 390 (De vera religione), giunse alla conclusione che la vera filosofia con la sua ricerca di Dio, si identifica con la vera religione. Affrontò nel 391 i voti del sacerdozio e pochi anni dopo (395) venne elevato al vescovato di Ippona. Combatté strenuamente contro il donatismo che esigeva una chiesa di membri perfetti con la preclusione e l’espulsione dei peccatori (Psalmus contra partem Donati; De baptismo contra donatistas). Nella sua ottica, la Chiesa, come entità reale, annovera anche i non santi, e la santità dei suoi sacramenti non soggiace all’integrità del celebrante.

Insorse duramente contro il pelagianesimo che considerava l’uomo fautore di una vita priva di peccato corroborato dal solo sostegno divino e che pur ammettendo in parte la contaminazione del peccato originale, stimava il sacramento del battesimo come fonte di perdono delle colpe degli adulti coinvolti nel peccato con la ragione, rigettando nel contempo il battesimo degli infanti incapaci di peccare proprio perché privi di tale discernimento (De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum; De natura et gratia). Agostino riteneva la condivisione del primitivo peccato di ribellione come propria in ogni figlio di Adamo, rimarcando l’obbligatorietà della grazia per ottenere la salvezza.

Tra il 397 ed il 401, sospinto da un’ode di appassionato ringraziamento alla misericordia divina, volle stendere una testimonianza diretta proponendo una raffinata e stimolante autobiografia (Confessiones) di ben 13 libri, in cui mette pienamente a nudo il ripensamento della sua vita in funzione della grazia divina, non mancando, nel contempo, di sondare passaggi cari a Platone quali la memoria nelle sue funzioni del conoscere e ricordare. Ma Agostino non è solo questo. Punte di diamante, nelle sue opere, sono i trattati sui grandi temi teologici. In assoluto l’opera sulla Trinità (De Trinitate, 15 tomi in dieci anni), è considerata l’esposizione massima partorita dalla letteratura patristica. In essa profonde il suo credo finale: “Tre persone sussistenti in un’unica natura, ma distinte tra loro dalle diverse relazioni che si esprimono nella vita intima di Dio. Il Padre, nel pensare, genera interiormente la propria sapienza o Verbo; una relazione d’amore lega la mente pensante al suo logos (Enc. Univ).”

Sulla creazione pone chiaramente in evidenza che l’opera di Dio si limita alla pura formazione della materia prima, tratta dal nulla e contenente in sé tutte le informazioni allo stato primigenio.

La sua opera, forse più nota e impegnativa nel tempo (De civitate Dei, ben 13 anni per 22 volumi), scaturì dall’impellente urgenza di rintuzzare le accuse e le critiche che il mondo non cristiano rivolgeva a questo nuovo e strano movimento, identificando proprio nell’amore e nel perdono per il nemico e nella rinuncia all’orgoglio romano, una delle preponderanti cause del dissolvimento dell’impero. Egli si avvalse di una similitudine pratica per avvalorare e sviluppare la sua teologia.

Due città sorte, l’una dall’egoismo e dall’amore dell’uomo per il suo “io” (civitas terrena), l’altra dallo slancio e dall’ardore verso Dio come fine supremo (civitas Dei), cercano di ottenere il predominio sul mondo. La civitas (città) terrena brama e vuol assaporare una pace basata sull’appagamento, laddove la ricchezza e la salute sono i valori fondamentali, pur se transitori ed effimeri, mentre la città di Dio pone e ricerca unicamente la pace della vita eterna.

Ciò che colpisce in quest’opera è proprio la mancanza di confini netti che disarticolino le due città nella vita terrena e che vivono, nelle sembianze della Chiesa, in una specie di commistione temporale tra giusti e disonesti, tra buoni e cattivi, ma che al suonar della tromba nel giorno del giudizio, realizzeranno in maniera netta e inequivocabile, l’abisso che separerà il bene dal male.

Agostino chiuderà i suoi occhi alla “città terrena” il 28 agosto del 430, a Ippona, per essere accolto nella “città di Dio” nel grembo del Padre suo.

 

Conoscevate Agostino così?

* Un’affermazione di base, per Agostino è: “La Chiesa è generata, alimentata, nutrita e rafforzata dalla parola di Dio!”

* A proposito delle innumerevoli norme che i vescovi stabilivano ai suoi tempi, Agostino scrive: “Servilibus operibus premunt!”, “Opprimono con opere servili”. Questo fino al punto da rendere la Chiesa sovraccarica di precetti e prescrizioni peggio degli Ebrei gravati dalla Legge. (Lettera a Gennaro, Epistulae 54,2,2 MPL 33,200).

* Mettendo in guardia i credenti, Agostino invita a non accordare valore assoluto agli insegnamenti degli uomini, fossero pure le sue stesse opere: “Mio caro, non seguire i miei scritti nello stesso modo della Scrittura!” (MPL 42,269,2 Decreto di Graziano I,IX,V; CIC I,17).

* Poco oltre ribadisce: “Hoc genus habet liberas observationes”, “E in queste cose, per il cristiano serio e prudente, non v’è condotta migliore che agire nel modo in cui vede comportarsi la Chiesa alla quale gli è toccato in sorte di pervenire (lib. trad.)”. In pratica : Non vi è obbligo d’osservanza ma si possono lasciare da parte senza peccare.

* In una missiva a Girolamo, eminente padre della Chiesa, avvertendo un certo limite culturale e formativo in molti vescovi determinanti in concili e sinodi, Agostino scrive: “Ho imparato a considerare esente da errori solo la Sacra Scrittura. Quando invece leggo tutti gli altri autori, siano santi e dotti finché si vuole, non considero vere le loro affermazioni per il semplice fatto che hanno insegnato in questo modo, se non sono capaci di provarmene la validità tramite la Scrittura!”. (MPL 33,277 Decreto di Graziano I,IX,V; CIC I,17)

* In un’altra lettera a Girolamo, il quale era piuttosto adirato perché lui non aveva apprezzato un suo commento alla lettera ai Galati, Agostino risponde così: “Caro fratello, spero che tu non pretenda che i tuoi libri siano considerati pari a quelli dei profeti e degli apostoli…”. (MPL 33,277; Decreto di Graziano I,IX,V; CIC I,17).

* Agostino afferma che anche le menti più eminenti, padri compresi, sono a volte caduti nell’umanità espressa in Romani 7/18-25: “…in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene no … il male che non voglio, quello faccio… Chi mi libererà? … con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato”. Per questo non pone la sua fiducia in alcuno neppure in sé stesso, ma solo sotto la scure della Scrittura.

* Agostino contrasterà fortemente Cipriano, vescovo e martire, il quale sosteneva risoluto il ripetimento del battesimo per gli eretici identificandolo come una netta prassi anabattista e perciò eretica, però, pur condannando apertamente il suo insegnamento, così parla in sua accalorata difesa: “…I suoi grandi meriti e il suo animo pienissimo di singolare carità, per cui si mantenne pacatissimo con i confratelli che avevano opinioni diverse, e la sua passione gloriosa in comunione con la Chiesa, mostrano a sufficienza che egli fu un tralcio fruttuoso nella radice di Cristo, che il Padre avrà liberato anche da questo biasimo, perché potesse portare un frutto più abbondante”. (Contra Gaudentium, Lib. II 2,8,9; MPL 43,746).

* Parlando dei suoi scritti e di sé stesso, Agostino afferma: “Errare potero, aereticus non ero”, “Posso errare, ma non sarò un eretico!”. Ovviamente perché l’eretico rifiuta la correzione e l’istruzione della Chiesa permanendo pervicaciamente nella difesa del suo errore. E’ questa la sintesi degli sviluppi nel suo – De gratia Cristi et de peccato originali – 2,23,26 MPL 44,397.

* Lutero controbattendo l’ascesi e il digiuno monastico spinto alle estreme conseguenze, anche in caso di grave debilitazione pur di non venir meno alla regola del digiuno dalla carne, soleva citare il pensiero di Agostino: “Si segua senza mormorare la prescrizione medica, in modo che, per ordine del sovrintendente, egli (il malato, digiunatore consenziente o coatto) compia anche controvoglia quel che è necessario fare per la propria salute”. (Agostino, Regola per i servi di Dio 9; MPL 32,1383).

 
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